In merito alla quotazione di RAI WAY e alla cessione di consistenti quote della Società molto si è detto ma forse è il caso non solo di ribadire la contrarietà alla prospettata operazione ma anche di evidenziare le motivazioni partendo dal presupposto che stiamo parlando del servizio pubblico radiotelevisivo per il quale milioni di cittadini italiani, al pari di milioni di cittadini di altri Paesi europei, pagano un canone.
Nell’introdurre il tema del servizio pubblico non si può dimenticare che nel nostro Paese il passaggio al digitale terrestre ha permesso un riordino del sistema delle telecomunicazioni purtroppo non attuato in tutte le sue forme e potenzialità a causa di scelte da parte dei Ministeri competenti influenzate da interessi privati.
E’ altrettanto chiaro che le nuove tecnologie in materia di trasmissione e trasporto del segnale non solo radiotelevisivo sono un elemento che potrebbe significare sviluppo per il Pese sia dal punto di vista industriale, quindi nuove opportunità di lavoro, sia in termini di qualità dei servizi a disposizione dei cittadini.
Parlare di nuove tecnologie porta inevitabilmente ad affrontare il tema della diffusione della banda larga in riferimento alla trasmissione e ricezione di dati informativi inviati e ricevuti grazie all’uso di tecniche di trasmissione che sfruttino un’ampiezza di banda superiore ai precedenti sistemi di telecomunicazione.
In assenza di una definizione ufficiale di banda larga il termine viene indicato come sinonimo di connessione alla rete internet più veloce di quella assicurata da un normale sistema analogico.
In altri Paesi le nuove tecnologie hanno già trovato una diffusa applicazione con risultati ormai evidenti e purtroppo su questo fronte in Italia si deve registrare un forte ritardo nell’utilizzo di questi nuovi mezzi.
I c.d. “digital divide” ovvero la differente possibilità di utilizzo delle nuove tecnologie e quindi di rapido accesso a sistemi informativi esistente in vaste aree nazionali di fatto frena lo sviluppo economico e pone alle aziende nazionali difficoltà di accesso ampio ai mercati internazionali e interni.
E’ ovvio che un’azienda potendo scegliere, preferisce investire in aree dove accesso alla rete e ai servizi collegati è rapida sicura ed efficiente e poco importa in quale Paese.
Oggi in Italia il 16% delle principali aree industriali riesce a raggiungere i 20 Megabit e il 17% delle aziende italiane non è coperto da questo servizio a questo occorre aggiungere che solo il 19% delle aziende è coperto da banda ultra larga (oltre 30 Megabit).
Il digital divide è quindi un consistente ostacolo anche per il tessuto economico locale e determina anche l’esclusione di milioni di cittadini da servizi ormai essenziali penalizzando il rapporto con una Pubblica Amministrazione che sempre più spesso si rivolge a cittadini e imprese sfruttando le potenzialità on-line.
Le aree interessate dal digital divide si distribuiscono su tutto il territorio Nazionale in particolare in alcune regioni coinvolge consistenti quote di cittadini: Molise (20,6%), Calabria (11,2%), Basilicata (10,4%), Valle d’Aosta (10,1%) Friuli-Venezia Giulia (9,6%) ..... per terminare con il Lazio (1,9%), Lombardia (1,8%) e Puglia (1,2%).In tutto questo non si può dimenticare che entro il 2020 i membri dell’Unione Europea dovranno garantire connessioni a 30 Mbit a tutti i loro abitanti e a 100 Mbit al 50% della popolazione.
Si tratta di velocità già disponibili in alcune zone del nostro Paese, ma anche in questo caso contare solamente sul libero mercato non consentirebbe di conformarsi alle richieste dell’Europa. Servirà un intervento da parte dello Stato per coprire quelle zone dove gli operatori privati non avrebbero interesse a investire.
Secondo i progetti annunciati dal Ministero dello Sviluppo Economico per questi interventi sono a disposizione 520 milioni di euro provenienti da Fondi Comunitari.
Entro il 2015, secondo il citato progetto, le connessioni ad almeno 30 Mbit saranno portate al 33,2% in Basilicata, al 36,4% in Calabria, al 36,4% in Campania ....; di questi, il 17% dei cittadini in
Basilicata, il 20% in Calabria, il 7% in Campania, potranno navigare a 100 Mbit.
Si tratta evidentemente di un primo passo in quanto il piano ammette investimenti pubblici fino a 15 miliardi di euro, che ancora non hanno copertura, e ovviamente toccherà anche alle altre regioni che intenderanno aderire avvalendosi delle risorse comunitarie relative alla nuova programmazione 2014-2020.
A frenare gli operatori nel portare la banda larga e ultra larga ovunque sono però i costi elevati di investimento, spesso non giustificati da adeguati ritorni economici in termini di redditività, come accade ad esempio in zone scarsamente abitate.
In questo quadro complessivo la crisi industriale del settore delle TLC determina la necessità, per le aziende private del comparto, di dare seguito ad investimenti che comportino un rapido e sicuro rientro economico così come è altrettanto chiaro che gli operatori privati TLC allo stato attuale non hanno interesse a dare impulso alla diffusione della banda larga e ancora meno a risolvere il problema copertura di quei territori che per la scarsa presenza industriale e di popolazione , quindi di potenziali utenti, non costituiscono un mercato su cui investire.
A questi argomenti occorre aggiungere l’orografia del territorio e le conseguenti difficoltà tecniche nel dare copertura del servizio con conseguenti aumenti dei costi.
La conseguenza che deriva dalle considerazioni esposte rende indispensabile la partecipazione attiva dello Stato sia dal punto di vista economico che tecnico in quanto proprietario della rete di diffusione del servizio pubblico radiotelevisivo.
Allo stesso tempo è indispensabile nella fase di programmazione un ruolo centrale che i rispettivi Ministeri (Tesoro, Sviluppo Economico) dovranno avere in termini di progettualità, economici e di attuazione di un piano a breve e lungo termini in funzione dello sviluppo dei nuovi sistemi di diffusione.
In caso contrario il Governo si assumerà la responsabilità di affidare a privati lo sviluppo dei nuovi sistemi con le ovvie conseguenze di un ulteriore diversificazione tra la popolazione e creazione di aree e zone più o meno privilegiate.
Questa valutazione porta alla considerazione che non è cedendo anche solo parte di un bene pubblico come gli impianti di trasmissione, da sempre di proprietà di RAI WAY e della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, che si risolvono i problemi del sistema di telecomunicazioni del Paese, ancora meno quelli della capogruppo, per il quale occorre mettere in atto opportune sinergie che non necessariamente passano attraverso vendite o cessioni.
Lo Stato ha il dovere di guardare agli interessi della collettività sfruttando un patrimonio costituito con il contributo dei cittadini che hanno pagato e pagano il canone di abbonamento, evitando che altri soggetti raccolgano i frutti derivanti dall’uso di infrastrutture uniche per ubicazione, costruzione, dotazioni tecniche e di sicurezza.
Nel precedente documento elaborato dalla UILCOM, e divulgato a giugno u.s., sono state illustrate dal punto di vista tecnico le valutazioni legate alle potenzialità degli impianti così come quelle economiche della società RAI WAY proprietaria e gestore degli impianti di diffusione della concessionaria RAI che, recentemente, ha rinnovato per sette anni il contratto di servizio, peraltro ad un costo inferiore rispetto agli ultimi anni.
Certamente lo stretto e quasi esclusivo legame tra la Corporate e la Società crea qualche perplessità legata ai condizionamenti che la capogruppo ha posto in atto in tema di organizzazione del lavoro e di organico, condizionamenti che di fatto hanno impedito e impediscono a RAI WAY di sfruttare al massimo le potenzialità degli impianti e della rete anche attraverso un ampliamento dell’offerta di servizi.
Su queste problematiche la UILCOM ha elaborato proposte specifiche per RAI WAY e dato ampia disponibilità ad affrontare le problematiche contrattuali legate alla organizzazione del lavoro nella convinzione che solo attraverso il confronto tra le parti è possibile garantire posti di lavoro e relativo sviluppo dell’Azienda e della Capogruppo che, in ogni caso, può e deve restare punto di riferimento.
Questa logica avvalora la proposta, da tempo avanzata, di porre in essere le iniziative affinché RAI WAY assuma il ruolo di gestore di rete a tutti gli effetti e sia messa in grado di affrontare le sfide del mercato delle telecomunicazioni partecipando attivamente, sotto il controllo diretto dello Stato, allo sviluppo e diffusione della banda larga su tutto il territorio.
Non si può peraltro porre in secondo piano l’ormai imminente scadenza della concessione del servizio radiotelevisivo che vedrebbe, in caso di cessione della proprietà anche solo parziale degli impianti, l’attuale concessionaria fortemente ridimensionata nel ruolo sino ad oggi svolto che ha garantito la diffusione e trasporto del segnale radiotelevisivo su tutto il territorio nazionale e la conseguente fruizione di un servizio alla totalità dei cittadini di questo Paese.
Roma, 26 agosto 2014
Il Coordinatore Nazionale RAI
Maurizio Lepri
Il Coordinatore Nazionale RAI Rai Way
Ottavio Bulletti