Audizione in commissione vigilanza

Illustri Presidente, Commissari,

come SLC CGIL, FISTEL CISL e UILCOM UIL Vi ringraziamo per la sensibilità dimostrata con la convocazione odierna e auspichiamo che, da oggi, si possa avviare un confronto collaborativo tra parti sociali, istituzioni ed Azienda nell’interesse del Servizio Pubblico Radio Televisivo. Il Contratto di Servizio 2013/15, sul quale la Vostra Commissione è chiamata ad esprimersi, è quello che getterà le fondamenta sul futuro del servizio pubblico Radiotelevisivo nel nostro paese, infatti, il 2016 sarà l’anno in cui dovrà essere rinnovata la concessione.

 

Sappiamo che fare un discorso di rilancio, in un periodo come questo, risulta cosa assai complessa. Si potrebbe cominciare parlando del ruolo della RAI, della sua mission e dei contenuti che una radiotelevisione pubblica dovrebbe proporre ai propri cittadini: cultura, informazione, formazione, intrattenimento e sport. Potremmo continuare dicendo che non ci può essere servizio pubblico senza un’informazione libera, autonoma, indipendente, autorevole e credibile, per salvaguardare quei principi democratici che solo una tv “di tutti” può garantire, a partire da una Governance dell’azienda che escluda totalmente l’influenza dei partiti.

Proprio questa affermazione mette al centro il ruolo del sindacato, perchè in un’azienda come è la Rai, oltre ad essere strumento di tutela dei diritti dei lavoratori, è anche soggetto impegnato a contrastare quegli elementi di precarietà contrattuale che, inevitabilmente, rendono debole la posizione di lavoratori che per mestiere debbono poter esprimersi in piena libertà e senza condizionamenti. In tal senso va ricordato che, negli ultimi anni, si sono stipulati Accordi di stabilizzazione per i tempi determinati, ed oggi, in forza di un Accordo stipulato a luglio si sta avviando una fase di emersione di contratti “atipici” (collaborazioni, partite iva), con una prospettiva di maggiori tutele e diritti. Il ruolo della Rai in questi 60 anni, è stato quello di contribuire, alla costruzione di un’identità nazionale comune attraverso le sue molteplici attività , dando vita alla informazione/formazione culturale, sociale ed economica nel Paese. Una identità che è proprio di un modello sociale e culturale europeo, a cui noi apparteniamo pienamente ed in cui la centralità del ruolo del servizio pubblico è indiscussa. Noi pensiamo dunque che questa funzione sia tutt’altro che esaurita, e che vada piuttosto aggiornata e rilanciata e, a tal proposito, vorremmo ricordare alla Presidenza della Commissione che la Ebu ha offerto la propria disponibilità ad essere audita presso questa Commissione per esprimere le ragioni della sua “inquietudine” (testuale) in riferimento alle novità introdotte dal contratto di servizio 2013 – 2015.

Disponibilità che, ci auguriamo, venga colta. Al contempo, crediamo che qualsiasi intervento fatto nei confronti della RAI non possa essere avulso dal contesto in cui la concessionaria di servizio pubblico agisce, perché sarebbe come cambiare le regole del gioco per un solo giocatore. Una riforma complessiva dell’intero sistema radiotelevisivo è oggi più che mai urgente, perché temi quali il conflitto di interesse e la concentrazione pubblicitaria rappresentano purtroppo, ancora, la cornice di fondo in cui ci troviamo e quella con cui anche il servizio pubblico oltre che le emittenti private nazionali si confrontano. Questa premessa era indispensabile per comprendere quanto la novità del cosiddetto “bollino”, a nostro avviso, rappresenti un pericoloso strumento che rischia di snaturare e di svuotare di significato il concetto di servizio pubblico, dal momento che, così come risulta dall’articolo 6, il bollino “esclude” l’intrattenimento dalle funzioni che devono essere esercitate da un “vero” servizio pubblico. Le novità introdotte nel nuovo contratto di servizio sembrano mostrare una malcelata volontà di procedere nella direzione di una “privatizzazione” pro parte di un bene comune di tutto il popolo italiano, che fino a pochi anni fa era unanimemente identificato come la nostra maggiore istituzione culturale. In primo luogo bisogna sottolineare che questa separazione costituisce la precondizione per considerare l’intrattenimento fuori dal perimetro del servizio pubblico, consegnandolo ideologicamente alla televisione commerciale, nonostante che la mission di un servizio pubblico europeo (Risoluzione del Parlamento europeo, 1996) dovrebbe essere un «insieme equilibrato di intrattenimento, cultura, divertimento e informazione».

Iniziando di fatto a separare ciò che è più allettante per il mercato rispetto ad una sorta di “bad company”, si da adito alla sempre strisciante operazione di privatizzazione dell’Azienda e poco ci convince la teoria secondo la quale questa rivisitazione sarebbe frutto della necessità di ricercare maggiore trasparenza, anche perché la distinzione tra gli introiti pubblicitari e quelli derivanti dal canone è già presente nel bilancio dell’azienda. C’è poi, all’interno del testo del Contratto di Servizio, un secondo elemento che desta preoccupazione, l’uso del termine “scadenza” e non “rinnovo” della concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo (“che potrà avere vigenza fino alla scadenza della concessione”) perché crediamo possa celare l’intenzione di escludere la Rai quale unica detentrice del Servizio Pubblico. La nostra inquietudine nasce anche da precedenti tentativi di riduzione del perimetro aziendale della Rai. Va ricordato che, negli ultimi tre anni, le organizzazioni sindacali hanno contrastato fortemente il Piano Industriale 2010/12, proprio perché si ipotizzavano cessioni di asset (Rai Way), esternalizzazioni di settori, vendita di parte del patrimonio industriale e immobiliare e la chiusura di Rai Internazionale, Rai Med e alcuni uffici di corrispondenza all’estero, tutte determinazioni che non solo mettevano in discussione la capacità produttiva della Rai, ma che rischiavano di pregiudicare l’assegnazione della concessione nel 2016. Non vorremmo che quello che è stato respinto, poco più di un anno fa, venga riproposto con formule diverse, magari più appetibili da un pubblico che oggi, in forza della crisi economica, vive un rifiuto di tutto ciò che è tassa o costo pubblico.

Proprio riprendendo la questione del finanziamento attraverso il canone, va ricordato che non sussiste alcuna garanzia di percepire l’intero corrispettivo spettante alla concessionaria, tant’è che l’evasione raggiunge livelli notevoli (25/30%), nonostante le azioni di contrasto effettuate soprattutto per provare a contenere quello enorme del canone speciale. Noi crediamo che la necessaria lotta all’evasione del canone vada affrontata oltre che con politiche mirate, anche attraverso il diffondersi di una maggiore consapevolezza di quanto offra il servizio pubblico in termini di qualità. Qualità che, come riconosciuto anche dalla Commissione europea (giova ripeterlo), riguarda tutta la programmazione della RAI. Partendo dal concetto semplice che nessuna azienda può operare senza certezza delle risorse, vogliamo passare al terzo elemento che ci preoccupa nel dibattito parlamentare. Nelle scorse settimane è stato presentato, da alcuni parlamentari, un emendamento alla legge di stabilità, con il quale si propone l’incremento del canone Rai di 6 euro finalizzandolo, con una partita di giro poco comprensibile, alle emittenti locali.

Questa proposta la troviamo incomprensibile per i cittadini, perché pagheranno di più pensando di finanziare la Rai mentre in realtà lo fanno per “aiutare” le emittenti private locali, dannoso per la Rai che, ancora una volta, sarà ritenuta un grande buco nero dai cittadini, inutile rispetto alle risorse messe a disposizione perché si rischia di incrementare l’evasione e quindi non incrementare in realtà le risorse a disposizione. Noi, come organizzazioni sindacali rappresentative anche delle emittenti locali, nelle scorse settimane abbiamo chiesto, con una lettera alle istituzioni, attenzione per quelle realtà, ma non certo attraverso un meccanismo perverso. È necessaria invece una attenta azione dello stato rispetto al difficile contesto economico, sia con maggiori finanziamenti pubblici ( basterebbe ridurre i tagli presenti nella stesse legge di stabilità), sia con una nuova regolazione del settore e del mercato pubblicitario. Vogliamo ricordare che il canone, anche se stanziato per il funzionamento della Rai, mantiene in vita un indotto estesissimo, che va dal cinema, alla fiction, ai teatri, alle tante imprese che in questi anni hanno fornito servizi. Esistono quote stabilite per legge, e sono rilevanti, che vanno direttamente a finanziare il cinema italiano ed indipendente... Questo significa che, già oggi, la Rai non usufruisce per “se” dell’intero canone, ma che svolge pienamente una funzione di sostegno delle attività culturali ed artistiche nel nostro paese. Il sindacato, con l’ultimo rinnovo, è riuscito ad inserire a contratto una serie di clausole per salvaguardare il lavoro interno, il pieno utilizzo delle professionalità Rai, la verifica sull’utilizzo degli appalti.

La volontà è quella di abbattere sprechi e clientele avendo anche attenzione alle condizioni dei lavoratori esterni, spesso oggetto di evasione o elusione fiscale, previdenziale o contrattuale. Va segnalato, nonostante questi impegni presi, che la Rai non ha ancora provveduto al confronto con le OO.SS. previsto, da contratto, per il mese di settembre di ogni anno proprio su tali temi. A questo si aggiunge, la lentezza con cui si sta procedendo ad un confronto sindacale, per definire le procedure interne per l’assegnazione della responsabilità nelle scelte di spesa e appalti, argomento delicatissimo per azienda e lavoratori. Tornando al contratto di servizio, nell’attuale testo in discussione, si sostiene che occorre eliminare la pubblicità da Rai YoYo perchè canale destinato ai bambini più piccoli. Riteniamo il postulato giusto, tutelare i minori per evitare che vengano trattati dalla tv come consumatori, bombardati continuamente da spot che li sollecitano a desiderare giocattoli ed altro ancora, non si capisce però perché questa scelta debba riguardare solo la Rai e non tutti i soggetti sul mercato che trasmettono programmi dedicati ai bambini.

In questo scenario, Rai YoYo, canale dedicato alla prima infanzia, si pone al primo posto per quantità di pubblicità aggregata, seguito dagli altri editori televisivi (Mediaset e De Agostini), che si sono posizionati insieme a Rai Gulp nelle rimanenti posizioni di prima fascia. In assenza di una regolamentazione generale, le quote pubblicitarie Rai verrebbero acquisite inevitabilmente dagli Editori televisivi privati, con il risultato di “drogare” il mercato a favore di soggetti che hanno oltretutto minori vincoli del servizio pubblico da rispettare. Altra nota dolente è la eccessiva semplificazione del documento contrattuale. Il fatto, in se, potrebbe non rappresentare un problema, ma la contrazione del numero degli articoli contrattuali da 35 a 24 ha soppresso strumenti di fondamentale importanza. All’art.2, comma b) del vecchio contratto, (quello riguardante l’oggetto del Contratto nazionale di servizio), era indicato, tra i compiti da assolvere quello di “valorizzare la rappresentazione reale e non stereotipata della molteplicità di ruoli del mondo anche nelle fasce di maggior ascolto, promuovendo – tra l’altro –  seminari interni al fine di evitare una distorta rappresentazione della figura femminile, con risorse interne ed esterne, anche in base a indicazioni provenienti dalle categorie professionali interessate”. Non, dunque un’affermazione generica, ma l’indicazione chiara di quali strumenti – tra gli altri - utilizzare.

Nell’epoca in cui gli atti di femminicidio sono presenti nelle cronache nazionali quasi quotidianamente, sarebbe stato più giusto optare per una “puntualizzazione” più che per una semplificazione, articolando meglio le azioni che la concessionaria del servizio pubblico avrebbe dovuto adottare, a partire dagli strumenti messi a disposizione per realizzare concretamente quanto enunciato come principi generali. Riteniamo che il ruolo e l’importanza del servizio pubblico Rai in ambito internazionale dovrebbe trovare maggior risalto soprattutto dopo un riscontro oggettivo dei dati. Oggi la Rai opera con 13mila dipendenti, rispetto ai 20mila della Bbc, ai quasi 14mila della Francia, agli oltre 24mila di Ard e Zdf in Germania. Eppure realizza 15mila ore di produzione interna, rispetto alle 9 mila della Bbc, quasi 8mila della Francia, quasi 9mila della Germania.

Tutto ciò con il canone più basso – nonostante questo, più evaso - e con i dati di ascolto più alti. Occorre dunque rilanciare fortemente la funzione della Rai, investendo maggiormente nell’innovazione tecnologica, nella realizzazione di programmi radiotelevisivi interamente ideati e prodotti all’interno e valorizzando il territorio attraverso il ruolo centrale delle Sedi Regionali, sfruttare pienamente i centri di produzione anche attraverso la specializzazione dei generi, sperimentare e utilizzare nuovi sistemi di diffusione per dare massima copertura del territorio con un servizio di qualità, creare un nuovo canale internazionale che parli, attraverso produzioni dedicate, non solo ai cittadini italiani all’estero ma anche ai cittadini di tutto il mondo promuovendo la cultura italiana, l’informazione ed il “Made in Italy”.

C’è una esigenza straordinaria di sperimentare, sfruttare a pieno le tante professionalità presenti in azienda, utilizzando interamente i finanziamenti per la formazione professionale, di investire sugli impianti trasmittenti, assolutamente essenziali per poter svolgere il compito di servizio pubblico ed avere assegnata la concessione nel 2016. Ricordiamo che la Rai è proprietaria e gestisce, attraverso la controllata Rai Way, i 2300 impianti presenti sututto il territorio nazionale. Condizione che, a nostro avviso, potrebbe essere maggiormente sfruttata anche commercialmente.

Roma, 19 novembre 2013

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